Robotica Educativa a Distanza (REaD)
di Marco Picarella
Se mi avessero detto tre mesi fa che sarebbe stato possibile programmare un robot educativo da remoto, io non ci avrei creduto. Avevo visto solo qualche software di simulazione, ma in questo caso si tratta di robot “virtuali”, non di robot “reali”.
Poi sappiamo che è successo l’incredibile, l’inatteso, che ci ha bloccato in casa per settimane. Stando ai dati dell’UNESCO, ad esempio, al 31 marzo la chiusura delle scuole a causa della pandemia da Covid-19 aveva interessato circa 1,6 miliardi di studenti in tutto il mondo, pari al 91% del totale (fonte).
Questa sconvolgente situazione ha dato inizio ad un’estesa ricerca di nuove misure per mantenere quel necessario contatto con il mondo esterno, sia sul piano personale, continuando ad avere un minimo di rapporti con parenti e amici, che sul piano lavorativo, dando largo spazio come mai era successo nel nostro paese allo smart working.
Anche la scuola ha dovuto riconverire gran parte delle sue attività curricolari, ricorrendo ai numerosi strumenti online già da tempo disponibili, tanto da arrivare a parlare di Didattica a Distanza (DAD).
I software che hanno trovato quindi maggiore sviluppo in questo periodo sono quelli di videocomunicazione. Noi in particolare, dopo aver fatto diversi test, ci siamo rivolti stabilmente a Zoom perchè offre una serie di strumenti che supportano molto bene la didattica a distanza: la condivisione di una specifica applicazione aperta sul PC, l’apposizione sullo schermo condiviso di annotazioni di varia natura (disegno a mano libera, quadrati, cerchi, frecce, testo, ecc.) da parti di tutti i partecipanti al meeting, fino al controllo remoto.
Ma se è facilmente comprensibile poter fare un corso online su argomenti come il coding, cosa dire della robotica educativa, soprattutto se il materiale non è in possesso dello studente?
La svolta è arrivata grazie alla collaborazione con il prof. Michele Moro dell’Università di Padova e la prof.ssa Lorella Burlin, che si occupano da anni di robotica educativa. Veniamo infatti a conoscenza di un ambiente di programmazione basato su cloud, Open Roberta Lab (ORL), sviluppato da Fraunhofer, un’organizzazione tedesca che raccoglie 60 istituti di ricerca applicata.

Homepage di Open Roberta Lab
Il linguaggio di programmazione è quello classico a blocchi, in stile Scratch tanto per intenderci, che risulta particolarmente adatto ai programmatori più giovani. Si chiama NEPO che è l’acronimo in inglese di New Easy Programming Online; se letto al contrario risulta OPEN, a indicare che si tratta di uno strumento “aperto” a tutti. Esso si basa sulle librerie di Blockly.
L’aspetto rilevante di ORL sta nell’essere un software multi-dispositivo, nel senso che con lo stesso linguaggio è possibile programmare diversi dispositivi: i robot Lego Mindstorms EV3, Lego WeDo, mBot, NAO, e i microcontrollori Arduino, micro:bit, solo per citare i più noti.

Un programma costruito con i blocchi di Open Roberta Lab
ORL ha un interessante simulatore che consente l’esecuzione di un programma usando un robot “virtuale”. In questo modo si possono iniziare subito le esercitazioni di programmazione anche senza avere la disponibilità materiale del robot. Queste simulazioni sono eseguite in “scenari” che, oltre ad essere disponibili all’interno di ORL, possono essere anche generati con un normale software di grafica e caricati nel sito come file grafici. Da notare che gli scenari di default contengono un elemento grafico (un quadrato azzurro) che viene rilevato dal robot virtuale come un ostacolo.

Simulatore
I test che abbiamo eseguito con il Prof. Moro e la Prof.ssa Burlin hanno riguardato prevalentemente la connessione tra Lego Mindstorms EV3 ed ORL via wifi, permettendoci di riuscire a programmare un EV3 da un PC che non si trova nella stessa rete locale del robot, ma sono entrambi connessi a internet per raggiungere il sito di ORL.
In questo modo siamo riusciti ad implementare quella modalità di didattica che il prof. Moro ha coniato come Robotica Educativa a Distanza (REaD).
L’interazione docente – studente nell’attività di REaD che abbiamo realizzato nella pratica avviene tramite Zoom. C’è una sessione iniziale di pura programmazione in cui è centrale la condivisione dello schermo, prima del docente, per spiegare i concetti, poi dello studente, per verificare il suo effettivo apprendimento.
Segue poi la fase di esecuzione del programma, durante la quale il robot viene ripreso da specifiche videocamere in modo che lo studente da remoto possa seguire e controllare i movimenti del robot.
In questa REaD il docente ha un ruolo più attivo che nella normale didattica perchè deve intervenire, essendo l’unico a poterlo fare, sul robot nel caso di blocco o altri interventi di tipo hardware.
A differenza della simulazione, la REaD lavora con robot che operano nel mondo reale e quindi nella programmazione bisogna tener conto di tutte le leggi fisiche a cui è sottoposto il robot. Ad esempio i fenomeni ottici nel mondo reale, come la riflessione della luce, l’intensità della luce ambientale, possono variare in funzione di specifiche condizioni e il programmatore deve valutarli in dettaglio quando scrive il codice.
Sia ben chiaro che la robotica educativa “tradizionale” ha tra le sue caratteristiche fondamentali quella di essere manipolativa (oggi si dice con approccio hands-on), perché sulla base della teoria costruzionista di Papert l’uso di dispositivi materiali facilita lo sviluppo di specifici apprendimenti; inoltre costituisce un forte elemento di socializzazione tra pari (una delle quattro P citate da Mitchel Resnik) e viene quindi usata anche per favorire la collaborazione e il peer tutoring.
Ma in condizioni emergenziali, come quelle in cui ci troviamo, dove c’è l’obbligo di rispettare il distanziamento sociale, la REaD può essere un valido supporto per proseguire quelle attività didattiche che altrimenti verrebbero interrotte.